L’epidemia dilagante del fast fashion si sta facendo ogni giorno più strada tra le vite di chiunque: impeccabili tecniche di marketing sommate ad una perfetta conoscenza dei social media e di qualsiasi risorsa che possono offrire, non possono che dare vita ad un irrefrenabile acquisto compulsivo di massa. L’elemento che più attrae però, sono i prezzi esigui: qualsiasi acquirente online infatti, è inevitabilmente sedotto dalla possibilità di comprare tanto spendendo poco.
Ma tutto questo, come è diventato possibile? Pochi infatti, o se non altro non ancora abbastanza, sono i fruitori del mercato online ad essersi posti interrogativi a riguardo.
L’INCHIESTA “UNTOLD”
Il colosso SHEIN, marchio di fast fashion divenuto in due anni il più lucrativo al mondo, coagula in sé tutto quell’insieme di fattori che permettono l’esistenza di tali dinamiche. Nell’inchiesta Untold: Inside the Shein Machine, realizzata dalla reporter Iman Amrani, viene sviscerato a fondo il mondo nascosto dell’iper-sfruttamento della manodopera.
Infiltrandosi all’interno di due delle fabbriche di SHEIN, la reporter porta alla luce dei tragici dati: i lavoratori sono qui costretti a lavorare 17-18 ore quotidianamente, con un solo giorno di riposo al mese. Le paghe sono irrisorie, e le politiche di retribuzione, a seguito ad esempio della produzione di capi fallati, inumane.
Tutto questo va ovviamente contro a quelle che sono le leggi cinesi, ma attraverso falsi provvedimenti, deleghe e “controlli del rispetto di leggi e standard lavorativi”, l’azienda è sempre riuscita a scampare ai suoi stessi Codici di Condotta.
L’ESPERIMENTO DI GREENPEACE
Recentemente Greenpeace Germania ha condotto un esperimento per analizzare la composizione dei tessuti di alcuni articoli SHEIN. Le analisi hanno rivelato che, in alcuni di essi, sono contenute sostanze pericolose (come il nichel), oltre i livelli consentiti dalle leggi europee. Questi prodotti quindi, tenendo conto del danno sanitario sia per gli acquirenti che per gli operai, possono considerarsi illegali a tutti gli effetti. Il rapporto condotto da Greenpeace Germania è disponibile qui.
L’INQUINAMENTO AMBIENTALE
Non è quindi difficile capire come questa industria ultra fast fashion non crei “solo” danni a persone, ma anche al pianeta, aggravando gli impatti del suo settore e accelerando la catastrofe climatica già in corso. Questo tipo di produzione usa e getta infatti, genera enormi quantità di rifiuti tessili inquinanti che non possono essere riciclati. L’inquinamento peraltro, non è confinato alle aree di produzione, ma si estende in tutto il globo, ostacolando la vera nascita di una economia circolare nel settore tessile.
Giuseppe Ungherese, responsabile campagna inquinamento di Greenpeace Italia, si esprime a riguardo:
Greenpeace chiede all’Unione Europea di applicare le leggi vigenti sulle sostanze chimiche pericolose, un requisito fondamentale per lo sviluppo di una vera economia circolare, e di attivarsi per eliminare il fast fashion, come peraltro indicato nella strategia europea sul tessile. E’ inoltre necessario intervenire sullo sfruttamento della manodopera, sulle gravi conseguenze ambientali nelle fasi produttive e, infine, sulla gestione dei rifiuti a fine vita. Tutti questi aspetti devono essere affrontati urgentemente con un trattato globale e un approccio simile a quello attualmente in discussione sulla plastica, che affronti finalmente la gigantesca impronta ecologica dei settori del tessile e della moda.